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Il naso: ognuno ha quello che si merita

Immagine del redattore: Anna di CagnoAnna di Cagno



“Dio non assegna i nasi a caso”. Non so se sia un proverbio o una frase celebre, so solo che quando l’ho letta ho pensato: è vero! Fateci caso: ognuno ha quello che si merita, e che meglio lo racconta.

In quella produzione umana che più si avvicina al potere di Dio che è la letteratura siamo pieni, non a caso, di nasi. 


I grandi scrittori creano mondi e ci piazzano nasi, mai a caso.


Di seguito una veloce, sicuramente incompleta, spero preziosa classifica dei miei nasi preferiti della storia della letteratura


Tristram Shandy


«Mio padre, che era un eccellente filosofo della natura e ragionava con gran finezza anche sulle minuzie, era terribilmente agitato per la forma del mio naso…»


Laurence Sterne è stato un genio assoluto della letteratura, e nel suo La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, il naso assume una rilevanza sproporzionata. Nel romanzo, i personaggi si angosciano per la lunghezza o la forma del naso, come se da quell’appendice dipendesse l’intero destino di una vita. Che poi è quello che facciamo un po’ tutti, quando ci preoccupiamo per delle sciocchezze che però spesso, ahinoi, governano la nostra esistenza.


Gargantua e Pantagruel


«Così, giungemmo all’isola degli Snasati, gente tutta priva di naso, né sapremmo dire se difetto di natura o strana disgrazia fosse.»


Il mondo grottesco e irriverente di François Rabelais pullula di nasi. C’è quello enorme di Frate Giovanni e un’isola intera di uomini senza naso. Un’assenza bizzarra o una presenza inquietante quella invece sul volto degli altri? A metà del 1500 si giocava con la diversità consapevoli che nulla è normale. 


Pinocchio


«Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte e le bugie che hanno il naso lungo...»


Ha a che fare con la verità, il naso di Pinocchio. E per questo è giustamente il naso più importante e filosofico della letteratura. Non è solo l’organo di quel senso che più ci avvicina agli animali, ma è un misuratore morale. Una cosa a metà tra il Super io di cui da lì a poco parlerà Freud e un’involontaria e buffa spia dell’umana attitudine alla menzogna.


Cyrano 


«Voi avete un naso… è un naso. Gran Dio!È un rocco… è un picco… un capo!Che dico un capo? È una penisola!»


Abituato a essere preso in giro per il suo, qui Cyrano si vendica con ironia di quello del Visconte. Al contrario di Pinocchio l’eroe di Edmond Rostand non mente mai sulla sua natura, usa l’enorme naso come un vessillo di coraggio e ingegno. E ci ricorda che ciò che la società definisce “difetto” può diventare un tratto distintivo e un motivo d’orgoglio, in un animo nobile e passionale.


Kovalev


«La mattina seguente, il maggiore Kovalev corse allo specchio: dove avrebbe dovuto trovarsi il suo naso, non v’era che una superficie liscia e piatta, come un bottoncino.


- Mio Dio! - esclamò. - Dov’è finito il mio naso?»


Scompare dal volto del suo proprietario, nel celebre racconto Il naso di quel geniacccio di Nikolaj Gogol. E diventa subito parodia dell’apparenza e della burocrazia. E quindi del conformismo di un mondo che valuta le persone in base ai distintivi di rango: che valore ha un individuo senza il suo naso? E chi siamo noi, se perdiamo la “faccia” (o parte di essa) davanti agli altri?


Vitangelo Moscarda


«Stavo per alzarmi da tavola e mia moglie me lo disse così, di punto in bianco:Il tuo naso, caro.Eh?Il tuo naso, dico. Ti pende.Che pende?Ma sì, guardalo bene nello specchio: ti pende verso destra. Non te ne sei mai accorto?»


Non scompare né si allunga, ma pende appena di lato. È abbastanza, però, per far crollare l’identità del protagonista di Uno nessuno e centomila. Attraverso il naso di Vitangelo, Luigi Pirandello ci mostra come un piccolissimo scarto fra l’immagine che abbiamo di noi e quella che gli altri vedono possa aprire voragini nella nostra sicurezza. Un naso, in fondo, non è mai “a caso”, perché diventa occasione di profonde riflessioni su chi siamo e su come ci percepiamo.


Meyer Wolfsheim


«Era un uomo minuto, un ebreo dal naso schiacciato, che sollevò la sua grossa testa e mi fissò con due folte ciocche di peli rigogliose in ciascuna narice.»


E non poteva mancare un naso “razzista”, perché è stato anche questo nella storia dell’umanità e della letteratura: un segno di appartenenza, un simbolo di alterità e giudizio, un attivatore di diffidenza. Ne Il grande Gastby di Francis Scott Fitzgerald un naso minore di un personaggio secondario ricorda gli stereotipi e i pregiudizi di un’epoca che da lì a poco avrebbero devastato la vecchia Europa.


Jean-Baptiste Grenouille


«Il suo naso percepiva profumi a distanze inaccessibili a ogni altro mortale.»


Nel romanzo Il profumo di Patrick Süskind il naso è il vero protagonista. Ma quello di Jean-Baptiste Grenouille non è tanto un organo quanto uno strumento: qui si attiva il suo senso più sviluppato, l’olfatto, e qui esplode l’ossessione e la smania di potere sugli altri, la cui essenza va catturata dall’uomo che non possiede un odore proprio.


Wilhelm Fliess


«Big nose, big hose»


No, non è un personaggio letterario e neanche uno scrittore. Wilhelm Fliess è stato un medico berlinese e grande amico di Sigmund Freud. Sua la teoria passata poi al proverbio “Big nose, big hose”. Fleiss sosteneva l’esistenza di un legame diretto tra naso e genitali, come se i due apparati fossero connessi da un filo invisibile. Ovviamente un secolo dopo, nell’epoca più fake mai esista, ha trovato conferma negli “studi” di un’urologa e podcaster americana (Rena Malik). 


Vi risparmio i dettagli.

Molly, per fortuna, non si occupa di scienza!


Fonte immagine copertina: larepubblica.it

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