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Immagine del redattoreAnna di Cagno

Nureyev, la sensazione estrema



Rudol’f Chametovič Nureev, traslitterato Rudolf Nureyev, nasce il 17 marzo del 1938 su un treno, o meglio, su quello che per tutti incarna “il” treno: la Transiberiana. Sua madre deve raggiungere il padre a Vladivostok e lui viene al mondo su una carrozza sgangherata, ultimo di cinque figli. Si trasferiscono a Mosca e poi, durante la guerra, a Ufa, in Baschiria.

«Di quei tempi ricordo la fame generale, il desiderio di mangiare qualcosa di diverso da una patata». Sono poverissimi ma, nonostante ciò, la madre la sera del 31 dicembre del 1944 riesce a portarlo a teatro, al balletto.


«Pensai che tutto ciò che vedevo era magico. Diventerò un ballerino.»


E così comincia con danze popolari per piccoli spettacoli supervisionati da Anna Udel’cova, ex allieva del mitico Sergej Djagilev, fondatore dei Ballets Russes. È lei a indirizzarlo a una maestra di danza che gli suggerisce di provare le selezioni per l’Accademia del Teatro Kirov. Parte contro il volere del padre che, come in ogni romanzo russo che si rispetti, lo picchia ogni volta che lo scopre a lezioni di danza.


Ancora una volta giorni e giorni di treno, per nascere di nuovo. Una sosta a Mosca, un provino al Bolshoi, un’ammissione con plauso della giuria e un “niet”. Suo. Vuole il Kirov e lì va, a Pietroburgo.

Gli dicono che è vecchio (ha 17 anni) e non ha nessuna formazione, ma…

Tre anni di scuola e nel 1958 è già una star, in Russia.

Nel 1961 Rudolf Nureyev arriva a Parigi per caso: il primo ballerino si è infortunato. Tocca a lui sostituirlo, e l’Opera quasi crolla per gli applausi.


Il successo è così grande che vanno organizzate repliche e nuove date a Londra.

Ma troppa fama vuol dire troppo potere sulla gente, e sulle emozioni, che sono molto pericolose per un regime. Così all’aeroporto di Parigi gli agenti del KGB gli comunicano che no, lui non parte per Londra, rientra a Mosca per esibirsi al Cremlino: un onore, Nikita Chruščëv in persona lo aspetta.


Se sei un tartaro nato nell’Unione Sovietica e hai visto l’orrore dello stalinismo e sei già venuto al mondo due volte su un treno e, soprattutto, se sei Rudolf Nureyev che fai? Ti alzi in volo in un Grand Jeté e superi i funzionari del KGB per atterrare tra le braccia di un poliziotto francese. «Il più grande volo della mia carriera».


Da quel momento la libertà, e con lei una fama e un successo senza precedenti nella storia della danza. Che a sua volta cambia. Perché con lui cambia tutto.

Il ballerino non è più semplice “portatore” di étoile ma protagonista, e le coreografie e i confini tra classica e moderna gradualmente spariscono. Prima di lui mai nessun maschio in Russia aveva ballato in calzamaglia.

Fuori dai teatri, i suoi look, così improbabili e kitsch da fare tendenza, e i suoi amori. Tanti, molti inventati (quello con Freddy Mercury), alcuni fondamentali (con Erich Bruhn, direttore del Balletto Reale Svedese e Robert Tracy).


Rivede la madre ventott’anni dopo, quando nel 1987 Michail Gorbačëv lo invita personalmente in Russia, e danza per l’ultima volta al Kirov di fronte a un pubblico in estasi.

Nel 1991 l’Aids e il ritiro a Li Galli, isola della Costiera Amalfitana, nella più magnificente delle sue tante residenze.

Appare in pubblico per l’ultima volta l’8 ottobre del 1992 all’Opera di Parigi per ricevere la più alta onorificenza culturale francese: Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere.


C’è chi dice che non amò mai nessuno oltre la danza, che fosse spietato con i ballerini, che facesse cadere a bella posta le compagne che non gli piacevano, che fosse eccessivo e smodato in tutto, a tratti maleducato e disprezzasse ogni pericolo…


Eppure, lo vedi danzare e pensi: aveva ragione Paul Valery, “la danza, in misura maggiore delle altre attività artistiche dell’uomo, concede questa sensazione estrema del possibile”.


Fonte immagine copertina: dance.net

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