Il CONCLAVE: oppio dei popoli o fumo negli occhi?
- Anna di Cagno
- 5 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Il Conclave è un rito antico e quindi, indipendentemente dal credo individuale, va capito. Che cosa succede, quest’anno dal 5 maggio? Un gruppo di uomini si chiude dentro una stanza affrescata, si toglie l’orologio, spegne il cellulare (a quanto pare anche quello con l’App del Santo Rosario) e resta lì. Giorni, a volte settimane. Senza poter uscire finché non hanno scelto un uomo che sarà, almeno formalmente, il rappresentante di Dio in terra.
La rete pullula di vaticanisti da bar mentre gli occhi del mondo sono puntati su un comignolo. È lui a ora il protagonista, perché sarà lui a dirci chi prenderà il posto dell’amatissimo Francesco.
Da un punto di vista letterario ci sono tutti gli ingredienti necessari a una narrazione “efficace ed emozionante”, come si dice nei corsi di scrittura creativa. C’è un prima, un durante e un dopo. C’è attesa, mistero, svolta. La fumata bianca è l’unico cliffhanger che, in Italia, fa più ascolti di Sanremo. E piazza San Pietro si prepara a vibrare e a respirare con un solo uomo, il Cardinale Protodiacono che annuncerà: Habemus Papam.
Un’emozione che per i credenti è pari solo a quella che tutti i rockettari della mia generazione hanno provato nel 1986 allo stadio di Wembley quando Freddie Mercury, con il solo gesto di una mano, fece cantare oltre settantamila persone. Solo che qui non s’intona Radio Ga Ga, qui si cerca di dare un volto e una voce a Dio.
La parola Conclave viene dal latino cum clave, con la chiave. Significa che si entra e si chiude la porta. Letteralmente. I cardinali restano isolati dal mondo, niente telefono, niente giornali, niente contatti. Si vota. Si riflette. Si trama. Si spera.
Il paradosso è tutto qui: ci si chiude dentro per scegliere chi avrà voce fuori. Chi parlerà al mondo, chi interpreterà la fede, chi guiderà i fedeli. Ma anche chi influenzerà – direttamente o indirettamente – scelte culturali, educative, bioetiche, simboliche.
E intanto noi, fuori, aspettiamo. In silenzio. Guardando un comignolo. Non un volto, non un’idea, non un confronto. Un comignolo.
In una democrazia sarebbe impensabile. Ma qui siamo in un territorio molto più antico. La religione viene prima e sopravvive a tutto: guerre, dittature, rivoluzioni. Perché l’uomo ha bisogno di dare un senso superiore alla sua vita, e ha bisogno di riti, di condivisione, di sentirsi parte di qualcosa di più nobile della specie animale.
Chi pensa, però, che il papa sia solo una guida spirituale, ha bisogno di ripassare un po’ di storia. Per secoli il pontefice è stato una figura politica: sovrano, comandante, alleato, nemico.
Il Papato aveva uno Stato che partecipava alle guerre, stringeva alleanze, gestiva territori, imponeva tasse.
È solo con l’arrivo dei Savoia e l’Unità d’Italia che è stato costretto a rientrare nei suoi attuali 0,44 chilometri quadrati di Stato Vaticano, uno dei più piccoli del mondo. Da allora, almeno formalmente, si occupa solo di questioni spirituali e ha smesso di occuparsi di politica. Ma non del potere. Il suo impatto, infatti, resta profondo: nei discorsi pubblici, nei diritti civili, nei simboli collettivi.
Per questo tutti politici gli rendono omaggio e cercano la sua benedizione, anche quando professano idee che poco si rifanno alla parola di Dio. Ultimo, ma destinato a passare alla storia come “menagramo” del secolo, il senatore americano J.D. Vance, fervente cattolico e conservatore, che si è recato in visita da Francesco, ha dichiarato: “Prego per lui ogni giorno” e l’ha steso (il giorno dopo il Papa è stato ricoverato). Semplice coincidenza o segno divino sul nuovo corso della politica americana?
Non essendo credente non ci tengo particolarmente al ruolo delle donne nella Chiesa, però non posso ignorare che anche in questo Conclave siederanno solo uomini. Il Vaticano è uno degli ultimi luoghi al mondo (del nostro mondo, quello libero, secolarizzato, occidentale…) dove l’esclusione femminile è non solo ammessa, ma istituzionalizzata.
Insomma, altro che soffitto di vetro, qui è di marmo. Lucido, imponente, intoccabile. Meravigliosamente affrescato.
Eppure, le donne sono ovunque nella storia della fede: hanno fondato ordini, scritto trattati, curato, ispirato. Ma mai governato. O sante o eretiche. Stop. E non per mancanza di vocazione o talento, ma per puro atto di esclusione.
La fede è universale. Ma il potere che la gestisce, no.
Quando non puoi nemmeno immaginare una donna in un ruolo, non è solo un problema religioso. È un problema di immaginario.
Quando si chiudono le porte della Cappella Sistina, il mondo resta fuori. Ma è lì che dovrebbe succedere il vero Conclave: nelle case, nelle scuole, nei posti di lavoro, nei social. Ogni volta che scegliamo chi ascoltare, chi seguire, chi nominare "voce autorevole" nella nostra vita, stiamo eleggendo il nostro pontefice invisibile.
Per Karl Marx la religione era l’oppio dei popoli. Ma lui non aveva i social.
Fonte immagine copertina: iodonna.it
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