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LA MALINCONIA: teniamocela stretta

  • Immagine del redattore: Anna di Cagno
    Anna di Cagno
  • 6 ott
  • Tempo di lettura: 3 min


“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Un verso di Ungaretti diventato così virale da essere parafrasato un po’ ovunque. Nonostante ciò, però, basta lasciarlo risuonare un attimo ed ecco che si affaccia quel sentimento sfuggente e pericoloso, quel soffio interiore che ci fa stare come foglie sugli alberi, pronte a cadere se si alza il vento.

Questo sentimento ha un nome antico che deriva dal latino (melancholia) e quindi dal greco (mélas, nero+kholé, bile).


La malinconia è un sentimento che ci mette più a disagio di altri. 


Non è rabbia, che funziona benissimo ovunque, soprattutto sui social, non è ansia, che ci ha fatto compagnia come un coinquilino durante gli ultimi anni e contro il quale ormai tutti disponiamo di qualche strategia mindfulness. 

La vera nemica da combattere o, meglio, cancellare dalla palette delle nostre emozioni è la malinconia.


La evitiamo come la peste: perché essere tristi è vietato. 


Attenzione: non sto parlando di depressione, questa è una malattia, spesso purtroppo invalidante, e come tale va curata. La malinconia è un paesaggio dell’anima, è quell’immagine poetica di Ungaretti che ci fa sentire foglie d’autunno su un albero ormai spoglio, è un luogo in cui tutti, prima o poi, passiamo. E in questo spazio indefinito c’è chi ha trovato in lei una musa, una compagna di viaggio, una scintilla creativa. 


Senza la malinconia molti dei romanzi più belli non sarebbero mai stati scritti.


Oggi viviamo sotto la dittatura della felicità a tutti i costi. Non c’è spazio per il grigio, per il sospeso, per quel senso di leggero e indicibile scollamento dalla realtà circostante che accompagna i passaggi della vita. 


Eppure, la malinconia non ci affonda: ci ancora, ci radica nella vita e nelle sue zone d’ombra più tiepide, e ci accomuna tutti. Per questo è preziosa, perché è l’opposto dell’indifferenza.


Non esiste una cura (e direi, per fortuna), ma esistono strumenti, tools meravigliosi che riescono a rendercela sostenibile, più comprensibile e soprattutto ricca.  

Di chi sto parlando? Ovviamente di romanzi inaffondabili.

Ecco allora la mia hit parade personale: dieci romanzi malinconici che mi hanno cambiato la vita. Una playlist di carta, da leggere come si ascolta un vecchio vinile.


La playlist malinconica di Molly Brown.

NB I titoli non sono in ordine d’importanza.


1. Jane Austen, Persuasione Il romanzo più crepuscolare di Austen. Qui non c’è la freschezza di Elizabeth Bennet né l’ironia pungente: c’è il peso degli anni, dei rimpianti, delle occasioni perdute. Ma anche la possibilità, fragile e bellissima, di un nuovo inizio.

2. Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il’ič Un uomo che ha vissuto “come si deve” si accorge, alla fine, di aver sprecato tutto. Breve e implacabile, questo romanzo breve è un pugno allo stomaco e allo stesso tempo un invito a non voltare mai le spalle a sé stessi.

3. F. Scott Fitzgerald, Tenera è la notte La festa è finita, e resta solo il retrogusto amaro del disincanto. Fitzgerald racconta la malinconia del glamour che si sgretola, dei legami che si disfano sotto il peso delle fragilità. Una musica da ballo che diventa eco lontana.

4. Albert Camus, Lo straniero La malinconia esistenziale e assurda di chi osserva il mondo senza riuscire ad abitarlo davvero.

5. Thomas Mann, La montagna incantata Sette anni in un sanatorio che diventano un secolo. La malattia e il tempo sospeso diventano allegoria dell’Europa alla vigilia della guerra. Malinconia come dilatazione, come attesa infinita.

6. Thomas Bernhard, Il soccombente Una prosa che non lascia respiro, corrosiva e musicale. Qui la malinconia è ironia nera, lo sguardo spietato su una vita vissuta sempre all’ombra di qualcun altro.

7. Elias Canetti, La lingua salvata L’infanzia, l’esilio, le lingue che si intrecciano e si perdono. Canetti chiude con un explicit tra i più belli della letteratura.  La malinconia si fa memoria.

8. John Williams, Stoner La vita di un professore universitario, normale fino all’anonimato, diventa epica nella sua semplicità. Una malinconia discreta, silenziosa, che a fine lettura lascia senza parole.

9. Haruki Murakami, Norwegian Wood La malinconia della giovinezza e della perdita, colonna sonora dei Beatles compresa. È un romanzo che non si dimentica, perché parla a quella parte di noi che non smetterà mai di sentirsi ventenne.

10. Philip Roth, Everyman Vecchiaia, malattia, morte. Roth firma uno dei suoi libri più brevi e più struggenti: la malinconia dell’addio alla vita, senza retorica e senza sconti.


La malinconia non ci affonda. Ci ricorda che siamo vivi, che abbiamo amato, che abbiamo perso. 


È un sentimento leggero ma ostinato, scomodo ma necessario. Senza di lei, sì, saremmo più leggeri. Ma anche più vuoti. E gli uomini vuoti (gli hallow men) ci ha insegnato Ts Eliot sono

“figure senza forma,

ombra senza colore, 

Forza paralizzata, 

gesto privo di moto”.


Direi che ce ne sono troppi in giro…

Fonte immagine copertina: singulart.com

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