Marilyn secondo Truman
Tra i tanti ritratti che hanno cercato di cogliere l’anima di Marilyn Monroe ce n’è uno che sbanca tutti. E non l’ha realizzato un fotografo, ma uno scrittore. S’intitola Una bellissima bambina e si trova nella raccolta Musica per camaleonti.
A firmarlo, Truman Capote. Un genio capace di ricordare anche a distanza di vent’anni il novantacinque per cento di tutto quello che ascolta o legge, l’autore che ha cambiato la storia della letteratura con A sangue freddo. Un uomo brutto, dalla voce stridula, pettegolo e cattivo che ha sulla coscienza il suicidio della miliardaria Anne Woodword all’indomani della pubblicazione del primo capitolo di Promesse esaudite.
Nel racconto è il 1955 e l’occasione del loro incontro è il funerale di Costance Collier, maestra di recitazione delle più grandi star di Hollywood, Marilyn compresa; il suo “problema particolare”, la sua “bellissima bambina”.
Come sempre arriva in ritardo, trafelata, intabarrata in un vestito nero e con un foulard in testa.
Truman non ‘deve’ intervistarla, ma registra tutto grazie alla sua prodigiosa memoria e vent’anni dopo vende l’articolo a Interview, il periodico diretto da Andy Warhol, il suo fan numero uno.
Vuole sapere cosa succede con Arthur Miller e pur di estorcerle il segreto mente (o forse no) e le racconta della sua notte di sesso con Errol Flynn.
Marilyn è sboccata come un camionista, parla di “uccelli” (ha visto Errol Flynn suonare il piano con il suo) e del “cazzo” di Filippo d’Edimburgo che immagina grosso, è più spiritosa di Billy Wilder (“ci sono due cose che mi piacerebbe sapere. Una è se riuscirò a dimagrire”) ed è intelligente quanto Truman, che infatti non riesce a carpirle alcun dettaglio piccante.
Si tormenta l’unghia del pollice mangiucchiandola, ordina lo champagne migliore a prima mattina e non ha i soldi per pagarlo, cambia umore in una frazione di secondo, è capricciosa. Gli fa ordinare una seconda bottiglia e poi gliela fa rimandare indietro, gli chiede di chiamare un taxi e poi si chiude nel bagno per un’eternità.
Lui già immagina di trovarla svenuta e imbottita di barbiturici quando lei invece esce, i capelli scarmigliati, le labbra rosse.
Vuole andare al molo di South Street, là dove si prende il traghetto per Staten Island, perché le piace respirare “quell’odore forestiero e dar da mangiare ai gabbiani”. E abborda, lei, un uomo che porta a passeggio un cane e gli firma un autografo e il vento soffia forte e lui, il perfido e spietato Capote, la “checca” irritante e invidiosa che irretisce le persone giocando le loro fragilità, la guarda con una tenerezza che non riesce a celare.
“Appoggiata a un pilone d’ormeggio, mi volgeva il profilo. Galatea in contemplazione di lontane distese inesplorate. Il vento le gonfiava i capelli, la sua testa si girò verso di me con una leggerezza eterea, come mossa dalla brezza”.
La guarda o forse si guarda, vede riflessa in lei la sua stessa fragilità, e il suo stesso destino. Il genio e la dea. La mente e la bellezza. I farmaci e l’alcol. Gli amori falliti e la morte solitaria.
La invita a dare finalmente da mangiare ai gabbiani, ma lei ancor una volta non ascolta le sue parole e gli chiede:
“Se mai qualcuno un domani ti domandasse come ero io, come era veramente Marilyn Monroe… ebbene, cosa risponderesti?”.
“La luce andava scemando. Lei sembrava dissolversi con essa, fondersi col cielo e le nubi, svanire al di là dell’orizzonte. Avrei voluto alzare la voce per sovrastare le strida dei gabbiani e richiamarla: Marilyn! Marilyn, perché doveva andare tutto come è andato? Perché la vita deve essere un tale schifo?”.
Lo pensa, ma non glielo dice, perché forse sa già come andrà a finire la loro esistenza scintillante di fama e di soldi. Sono figli dello stesso mondo, “lo stupido mondo antico” di cui parla Pier Paolo Pasolini nella poesia scritta all’indomani della morte della diva, e vittime sacrificali “del feroce mondo futuro”.
Fonte immagine copertina: www.nydailynews.com
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